mercoledì 28 marzo 2012

Aung San Suu Kyi, la voce della speranza

L'autentica rivoluzione è quella dello spirito, nata dalla convinzione intellettuale della necessità di cambiamento degli atteggiamenti mentali e dei valori che modellano il corso dello sviluppo di una nazione. Una rivoluzione finalizzata semplicemente a trasformare le politiche e le istituzioni ufficiali per migliorare le condizioni materiali ha poche probabilità di successo.

Non è il potere che corrompe, ma la paura. Il timore di perdere il potere corrompe chi lo detiene e la paura del castigo del potere corrompe chi ne è soggetto.

...anche sotto la minaccia della macchina statale più schiacciante, il coraggio continua a risorgere, poiché la paura non è lo stato naturale dell'uomo civile.



La chiamano "orchidea d'acciaio", è una donna minuta, con profondi occhi miti, che è riuscita a tenere testa ad un esercito di 300 mila soldati agguerriti.
La sua vita, la vita di Aung San Suu Kyi, è una vita straordinaria e non si può non rimanere sconvolti ed estasiati dalla sua storia, la storia di una donna che da sola è riuscita a fare la differenza nel mondo.
Il popolare regista francese Luc Besson ha diretto nel 2011, ed è attualmente nelle sale cinematografiche d'Italia, il film "The Lady" incentrato sulla vicenda umana prima che politica della donna.
Per molti il regista ha così compiuto un errore, poiché ha corso il rischio di sminuire l'aspetto politico della battaglia di Suu. Non sono assolutamente d'accordo, perché credo invece che le due sfere si intreccino perfettamente. D'altronde prima di essere un attivista del movimento per la democrazia in Myanmar e premio Nobel nel 1991 (usò i soldi del premio per costituire un sistema sanitario e di istruzione, a favore del popolo birmano), è una donna, una casalinga, una madre e moglie che ha dovuto sacrificare per oltre 15 anni la sua libertà personale e i suoi affetti familiari. Ha dovuto rinunciare a tutto per la libertà del suo paese.

E' nata in una famiglia di attivisti: il padre Aung San fu segretario del Partito Comunista della Birmania, condusse il Myanmar all'indipendenza dall’imperialismo inglese e venne ucciso da alcuni avversari politici nel 1947, e la madre divenne una delle figure politiche di maggior rilievo del paese, tanto da diventare ambasciatrice in India nel 1960.
Con la laurea a Oxford in Filosofia, Scienze Politiche ed Economia la giovane parte per New York dove trova lavoro presso le Nazioni Unite, e in quel periodo conosce anche uno studioso di cultura tibetana, Micheal Aris, che l'anno successivo sarebbe diventato suo marito, e padre dei suoi due figli, Alexander e Kim. Così comincia per lei una vita felice, serena. Tuttavia non poteva rinnegare le sue origini e le responsabilità che aveva nei confronti del suo paese.
Ritornò in Birmania nel 1988, per accudire la madre gravemente malata e proprio in quell'anno il generale Saw Maung prese il potere e instaurò il regime militare, che tuttora comanda in Myanmar, dando inizio ad una serie di soprusi che avrebbero messo in ginocchio l'intero paese. I ribelli venivano giustiziati, le minoranze perseguitate, i diritti umani violati. Tanta, troppa gente morta sotto una delle più terribili dittature di tutti i tempi. Fortemente influenzata dagli insegnamenti del Mahatma Gandhi, Aung San Suu Kyi decise di lottare al fianco del suo popolo e seguendo una politica non-violenta fondò la Lega Nazionale per la Democrazia, il 27 settembre 1988. Si candidò alle elezioni. Le vinse, e fu condannata agli arresti domiciliari,  con una sola possibilità: andarsene, senza la possibilità di tornare, o rimanere reclusa nella sua casa in Birmania.
Daw Suu Kyi, come ama farsi chiamare, ha deciso di non voltare le spalle al suo paese e a tutti coloro che vedono in lei una speranza. Sarebbe potuta tornare a casa, da suo marito e dai suoi figli, ai quali viene anche negato di farle visita. Avrebbe potuto ma non ha voluto, neanche quando il marito si trovava nel 1999 in fin di vita a causa di un tumore. Tra mille sofferenze non poté neanche riabbracciarlo, perché andare via avrebbe significato ottenere la libertà per un prezzo troppo alto, ovvero non tornare più in Birmania.
Nel Novembre del 2010 è stata liberata e ora spera di vincere le elezioni del 1 Aprile e di poter guidare il suo Paese non soltanto alla democrazia, ma anche a una maggiore apertura , politica e commerciale, nei confronti dell’Occidente.

Aung San Suu Kyi rappresenta la speranza ed è l'esempio pratico di come anche una sola persona possa fare la differenza e di come possa esistere anche una politica non fondata sulla corruzione e sulla violenza!

"Dobbiamo lavorare insieme, all'unisono, per raggiungere il nostro obiettivo... C'è un tempo per il silenzio e un tempo per parlare. Non vi vedo da così tanto, abbiamo molte cose da dirci. Quando è tempo di parlare, non rimanete in silenzio".

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