domenica 14 ottobre 2012

Argentina, stuprata deve ricorrere alla Corte Suprema per abortire

Dal corriere della sera:



La legge argentina garantisce il diritto all'aborto per chi ha subito violenza ma la Corte Suprema è stata costretta ad intervenire con una sentenza per permettere a una donna di 32 anni che era stata rapita, stuprata e costretta alla prostituzione di terminare la sua gravidanza. La vicenda ha diviso l’opinione pubblica di un Paese fortemente cattolico dove l’aborto è permesso soltanto in   alcuni (rari) casi. Il caso è scoppiato quando il sindaco di Buenos Aires, Mauricio Macri, una delle città più liberali di tutta l’America Latina, ha annunciato il primo aborto legale per un caso di violenza sessuale.  Un gruppo pro-vita ha presentato ricorso in tribunale ottenendo di bloccare il procedimento all'ultimo momento. Alcuni anti-abortisti si sono piazzati davanti alla casa della signora (la cui identità non è stata rivelata) e all'ospedale pubblico dove l’intervento era previsto per protestare contro quello che definiscono “un omicidio”.  Secondo l’avvocato della giovane, Pablo Vicente, tra i manifestanti c’era anche il cappellano dell’ospedale.

“Questa donna – ha spiegato l’avvocato – è stata vittima di un traffico umano, è stata violentata e non vuole portare avanti la gravidanza che è alla nona settimana. Nonostante ciò ha dovuto sopportare umiliazioni di tutti i tipi come una protesta davanti alla sua abitazione quando la famiglia non sapeva nemmeno tutti i dettagli della storia”.

Giovedì scorso con una sentenza urgente la Corte Suprema ha ribaltato la decisione del tribunale ordinario e stabilito che l’interruzione di gravidanza in questione può avere luogo in tempi brevissimi. Amnesty International, in un comunicato, ha definito “tortura e trattamento crudele, disumano e degradante gli inutili ritardi con cui si è arrivati alla sentenza”. ”Le autorità argentine  - ha dichiarato Guadalupe Marengo, vicedirettrice del Programma Americhe di AI – devono prendere sul serio le loro responsabilità quando si tratta di proteggere i diritti delle donne e rispettare il diritto di questa donna ad abortire in modo legale e sicuro, senza ulteriori ritardi”. (nella foto in alto una manifestazione pro-aborto).

Lo scorso marzo la Corte Suprema aveva già stabilito che ogni donna rimasta incinta a seguito di stupro dovesse avere accesso a servizi d’interruzione di gravidanza in condizioni di sicurezza e senza il coinvolgimento della magistratura. Da allora la città di Buenos Aires e i governi provinciali si erano adeguati alla sentenza ma non tutti con le stesse modalità. Un mese fa Macri aveva emesso una direttiva che permetteva l’aborto nelle prime dodici settimane di gravidanza per chi avesse subito violenza. E l’Associazione per la Promozione e la Difesa della famiglia aveva iniziato una battaglia legale per svuotare di significato la sentenza affidandosi ai tribunali locali. “Una madre non ha diritto a uccidere il suo bambino – aveva spiegato Pedro Andereggen, un avvocato dell’associazione – neanche se è stata vittima di stupro. Il diritto alla vita di un essere innocente è assoluto e non ammette eccezioni“. La Corte Suprema però ha deciso altrimenti.

Secondo uno studio sponsorizzato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, in America Latina il 95% degli aborti è fatto in condizioni di insicurezza e in maniera clandestina.


Questa storia si commenta da sola! E' mai possibile che una donna, oltre ad aver subito tremende violenze e soprusi, debba essere costretta a sentirsi pubblicamente umiliata da gente che si arroga il diritto di giudicarla e di legiferare sul suo corpo e sulla sua vita per ideologie religiose?
Questa donna è stata vittima di uno stupro e di torture di ogni genere, non ha potuto scegliere di diventare madre.

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